2 lug 2017

Parkinson, cellule cervello riprogrammate per combatterlo

Un gene le ha trasformate nei neuroni distrutti dalla malattia


CELLULE del cervello riprogrammate e trasformate nei neuroni che muoiono nel morbo di Parkinson. E' forse questa la nuova strada per combattere una delle malattie neurodegenerative più diffuse. Il metodo, sperimentato su cellule e su topi, è stato descritto sulla rivista Nature Biotechnology ed è stato messo a punto dalla ricerca internazionale coordinata dall'Istituto Karolinska di Stoccolma.

Questa malattia è nota dal 1817, ma nonostante gli sforzi, ancora non è stata trovata una cura e le terapie disponibili oggi sono purtroppo solo cure palliative. Per risolvere questo problema da decenni diversi gruppi di ricerca in tutto il mondo cercano di sviluppare una tecnica di trapianto per combattere il morbo di Parkinson, in modo dar rimpiazzare le cellule che producono la dopamina, il neurotrasmettitore che controlla i movimenti, e che vengono progressivamente distrutte dall'avanzare della malattia. La patologia è infatti dovuta alla morte di un particolare sottotipo di neuroni: i neuroni dopaminergici. La scomparsa di queste cellule comporta la perdita del controllo dei movimenti e, in un secondo momento, anche di molte funzioni cognitive.


Il gruppo di studiosi, coordinato da Ernest Arenas, propongono una via alternativa a quella del trapianto e che consiste nell’indurre, direttamente nel cervello, alcune cellule nervose a cambiare identità, trasformandosi in neuroni dopaminergici. Il primo passo è stato quindi cercare i geni che permettono ai neuroni che producono dopamina di svilupparsi e maturare. I ricercatori ne hanno individuati quattro che, introdotti nelle cellule che costituiscono l'impalcatura del sistema nervoso, chiamate astrociti, le hanno spinte a trasformarsi in neuroni dopaminergici.



Lo studio è durato complessivamente 6 anni e, secondo gli esperti, potrebbe aprire speranze nella lotta contro la malattia. "E' la prima volta - spiega Pia Rivetti di Val Cervo del Laboratory of Molecular Neurobiology dell'Istituto Karolinska di Stoccolma, una delle autrici di questo studio - che viene osservato un miglioramento dei sintomi del Parkinson, in topi da laboratorio, a seguito di una riprogrammazione cellulare avvenuta nel cervello. Inoltre, la nostra scoperta fornisce una fonte di neuroni dopaminergici alternativa a quelle già sperimentate in passato. La tecnica che abbiamo sviluppato al Karolinska permetterebbe di sostituire le cellule morte nella malattia in maniera veloce e potenzialmente meno costosa di una terapia cellulare". Ma che tipo di cellule vengono usate? "Le cellule da utilizzare in un trapianto sperimentale per il Parkinson possono avere diverse origini: da tessuto cerebrale fetale umano, da cellule staminali embrionali umane o da fibroblasti umani. In tutti e tre i casi le cellule vanno coltivate, o differenziate o riprogrammate prima di venire trapiantate nel paziente, il che comporta un tempo per preparare le cellule da trapiantare, e l’immunosoppressione del paziente. Oltre a questi aspetti tecnici, nel caso delle cellule fetali ed embrionali umane esistono anche dei problemi di natura etica tuttora in discussione in alcuni paesi, che ne impediscono l’utilizzo".

La tecnica ha dato buoni risultati nei topi utilizzati come modello della malattia, ossia nei quali il morbo di Parkinson era stato riprodotto con caratteristiche simili a quelle della malattia umana, ma prima di passare alla sperimentazione clinica sarà necessario affrontare ancora una lunga fase di sperimentazione.

VIDEO - Le storie di chi convive con il Parkinson

Che cosa avete scoperto testando questa tecnica sui topi? "La grande novità riportata nel nostro studio risiede nel fatto che è stato possibile realizzare questa riprogrammazione direttamente nel cervello dei topi di laboratorio usati come modello di Parkinson, senza dover eseguire un trapianto di cellule. A seguito di questo trattamento e nel giro di sole 5 settimane, gli animali hanno recuperato parte delle capacità motorie perdute.

Ci vorrà tempo prima di sperimentare questa tecnica sull'uomo. "Nonstante questi risultati siano molto incoraggianti, - conclude Rivetti di Val Cervo - una lunga fase di sperimentazione rimane da affrontare per rendere questa tecnica sufficientemente sicura ed efficace da essere testata su pazienti umani ".


Salute: movimenti incontrollati, un’unica causa per diverse malattie

C'è un segreto in comune nei MOVIMENTI incontrollati di patologie tra loro diverse, come malattia di Parkinson, distonia e malattia di Huntington


C’è un segreto in comune nei MOVIMENTI incontrollati di patologie tra loro diverse, come malattia di Parkinson, distonia e malattia di Huntington. Grazie a uno studio pubblicato da ‘Nature Neuroscience‘ questo segreto è ora più chiaro. Ricercatori della Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma e dell’Università di Perugia, coordinati da Paolo Calabresi, insieme al gruppo di ricerca di Antonio Pisani dell’Università di Roma Tor Vergata, e ai colleghi inglesi e spagnoli dello University College di Londra e dell’Istituto Carlos III di Madrid, sono riusciti a dimostrare che l’ipercinesia di cui soffrono pazienti affetti da patologie così diverse hanno tutti in realtà un problema in comune: l’incapacità dei neuroni di tornare a riposo dopo essere stati stimolati per apprendere un movimento.

I neuroni coinvolti sono quelli dello striato, una regione interna del cervello deputata a organizzare il movimento. Gli stimoli elettrici che li sollecitano producono effetti di due tipi. Gli scienziati chiamano uno Ltp (long term potentiation) e l’altro Ltd (long term depression). Immaginiamo per un attimo di osservare questi impulsi elettrici con un tester: è come se la lancetta, quando il neurone è a riposo, fosse sullo zero. Se poi il neurone riceve un impulso Ltp la lancetta si sposta verso il positivo, se riceve un impulso di segno opposto si muove verso il negativo. Attraverso questi impulsi di opposte direzioni impariamo da bambini, per progressivi aggiustamenti, a muovere mani e braccia, a camminare, ad andare in bicicletta.

Poi, per tutta la vita, grazie ai medesimi impulsi i neuroni del nostro cervello guidano i MOVIMENTI, li adattano all’ambiente, ne correggono la traiettoria e in generale li tengono sotto controllo. “Questo meccanismo – spiega Veronica Ghiglieri, ricercatrice presso il Laboratorio di Neurofisiologia della Fondazione Santa Lucia – funziona solo finché i nostri neuroni conservano la capacità di tornare alla posizione zero dopo ogni impulso o di poter esprimere un comportamento del tipo Ltd. Ed è proprio questa incapacità che abbiamo dimostrato essere comune ai pazienti affetti da malattia di Parkinson, distonia e malattia di Huntington“.

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Una causa comune dell’ipercinesia è dunque stata riconosciuta in pazienti con patologie di origine tanto diversa, come appunto una malattia neurodegenerativa con cause multifattoriali, qual è la malattia di Parkinson, accanto a patologie di origine genetica come distonia e malattia di Huntington. “In effetti, le nostre ricerche sono partite anni fa proprio dalla malattia di Parkinson studiando gli effetti collaterali della terapia più utilizzata per questo disturbo: la levodopa – spiega Calabresi – Il tratto comune a queste ipercinesie è che il meccanismo interessa i recettori dopaminergici. Questo studio tuttavia dimostra che all’origine dei MOVIMENTI incontrollati c’è una disfunzione che si presenta identica anche in pazienti con patologie che non sono causate dalla mancanza di dopamina“. L’obiettivo futuro della ricerca sarà quello di trovare modalità efficaci per restituire ai neuroni la capacità di tornare nella posizione zero dopo ogni stimolazione.


A cura di Monia Sangermano
19 luglio 2016 - 16:05